Ci sono tecniche artistiche che sopravvivono ai secoli. Attraversano la storia, i popoli, le generazioni e sopravvivono alle innovazioni moderne – che, qualche volta, tendono a fagocitare quello che c’era prima, il vecchio, l’antico, il classico.
La tecnica pittorica delle icone bizantine è una di queste: un’arte che arriva da molto lontano e che oggi esiste ancora, grazie a valenti artisti che ne hanno studiato le abilità, si sono allenati alla manualità e alla conoscenza dei colori necessarie per creare icone in grado di incarnare tutta l’esperienza del passato.
Sono rimasto ammirato dalla mostra di arte sacra “Icone Bizantine”, dell’artista Elisabetta Graziani, che, presso la Chiesa di S. Maria del Carmine di Quadroni (a Manziana), ha esposto otto delle sue realizzazioni, dipinte secondo l’antica tecnica della tempera su tavola, con pigmenti naturali.
San Michele Arcangelo, la Madonna della tenerezza, San Giorgio, San Francesco, la Sacra Famiglia – solo per citarne alcune – le icone in mostra. Pigmenti naturali in emulsione d’uovo, doratura a bolo con oro in foglia 24k brunito con la pietra d’agata, legno di tiglio con traverse in quercia uniti all’abilità dell’artista Graziani danno vita a tavole sacre, che rivelano magistralmente il simbolismo tipico della sacralità bizantina.
Dell’icona – l’immagine sacra rappresentata su una tavola in legno – si hanno notizie a partire dal V secolo.
Oggetti di culto e di venerazione, le icone bizantine – superata la questione iconoclastica – hanno avuto larga diffusione nei secoli seguenti: se ne conservano alcune delle più antiche, datate VI e VII secolo.
Elisabetta Graziani rappresenta l’erede dei maestri e degli artisti che nei secoli hanno tramandato le tecniche e le conoscenze di questa importantissima arte sacra. Ne interpreta magistralmente lo spirito artistico – la sua abilità gli permette di dare vita a icone suggestive, belle nei colori, cariche di simboli religiosi e apprezzate dagli spettatori presenti alla sua prima mostra.
Opere che assumono un significato profondo per i credenti, ma apprezzate anche da chi credente non è: per la loro bellezza artistica, per quell’armonia della pittura che non conosce confini religiosi, ma che suscita emozioni – diverse per esperienze di vita, per conoscenze culturali, per storia personale – in chi le osserva.
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