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Scuola e minigonne: chi ha ragione?

Le solite polemiche travestite da battaglie ideologiche per la libertà. Si può sintetizzare così l’immancabile polverone che ogni anno, con l’arrivo del vento di scirocco, si leva puntuale nelle scuole italiane. Minigonne si, minigonne no? E, se fosse solo questo il tema, la risposta sarebbe anche facile. E non perché io abbia qualcosa contro le minigonne, anzi. Quanto, piuttosto, perché alcuni ambienti richiedono un abbigliamento consono. E – spiace dirlo – le minigonne non sono un abbigliamento consono all’ambiente scolastico. Così come non lo sono le pellicce in palestra, le scollature in chiesa o il bavaglino a tavola se hai cinquant’anni.

Il perché è presto detto, basta ragionare con il tanto acclamato buon senso.

 

Partiamo dall’inizio: cos’è la scuola? Difficile da sintetizzare. Ma si potrebbe classificare come un luogo di cultura, di formazione, di incontro sociale, di scambio intellettuale. A pensarci bene, tutto questo può avvenire – con le diverse modalità che il contesto richiede – anche al bar Sport, al concerto di Vasco, al nostro lido preferito in Sardegna, al cinema o al teatro. In effetti, tutto può considerarsi luogo di incontro sociale, formazione e cultura. Quale formazione, quale cultura, poi è da personalizzare per ognuno dei luoghi. Ma certamente, tutto costituisce formazione: anche i concerti o gli incontri al mare.

Ogni luogo ed ogni contesto richiedono un approccio, anche estetico: non per uniformare ed omologare, ma per rispettare quello stesso luogo e gli operatori che lo popolano. Inoltre, l’abbigliamento adatto ad ogni contesto permette di vivere quel momento in sintonia con gli altri, senza per questo dover rinunciare alla propria personalità.

Non si può andare vestiti da batman alla prima alla Scala – anche se tutti abbiamo visto in tv outfit che gli si avvicinavano parecchio – perché è richiesto un certo dress code.

Così come non avrebbe senso andare sotto il palco di un mega concerto in doppiopetto, mocassini e bastone da passeggio: a nessuno verrebbe in mente di farlo. Perché? Ma perché non sarebbe consono.

 

Sulla scuola il ragionamento non può essere così semplicistico, anche perché in alcuni casi di parla di divieti scritti veri e propri. Ma, ragionandoci meglio, può accadere di scoprire che quei divieti hanno una logica di fondo che – udite, udite – ne giustifica l’esistenza.

Se in una scuola vengono vietati piercing e unghia lunghe solamente perché la dirigenza non li considera confacenti al proprio gusto, questo è sbagliato. Ma se poi si scopre che quel provvedimento serve a tutelare gli studenti nelle ore di educazione fisica, per evitare che piercing e unghia lunghe diventino causa di ferite o danni per se stessi o per i propri compagni, ecco allora che la misura assume una ratio condivisibile.

Ancora. Se in una scuola vengono vietate minigonne e shorts inguinali per evitare che qualche professore in crisi di mezza età possa lasciarsi sedurre da una ragazzina di liceo, questo è sbagliato – sbagliatissimo, perfino disgustoso. Ma la misura assume un carattere di correttezza se si considera che quell’abbigliamento è pensato per sfilate, serate in discoteca o passeggiate con amici e non è adatto – esteticamente – ad un luogo deputato alla cultura e alla formazione delle coscienze.

Infine. Se un ragazzo vuole truccarsi perché ritiene la sua personalità più in linea con rimmel e rossetto e manifesta (giustamente e liberamente) le proprie inclinazioni sessuali, è legittimo – direi sacrosanto – che possa fare quello che gli pare. Ma se tutti i ragazzi decidono di truccarsi e andare a scuola in gonna per protestare pretestuosamente contro provvedimenti di decoro è un errore che lascia scadere nella pagliacciata una battaglia di civiltà.

 

In Italia non esiste un codice per l’abbigliamento nelle scuole: nessun legislatore evidentemente, dal dopo-guerra in poi, aveva paventato la possibilità che qualcuno potesse recarsi a scuola semi-nudo o conciato come un pagliaccio. In Italia ogni istituto dispone delle circolari, che, di volta in volta, devono vietare l’ovvio: un esempio, è vietato andare a scuola in costume da bagno. Evidentemente, se qualcuno si è preso la briga di scriverlo in una circolare è perché durante la spiegazione della battaglia di Waterloo qualche alunno assisteva in slip, canottiera e infradito alla disfatta di Napoleone, avviando analogamente in quel momento – forse inconsapevolmente – la disfatta della nostra civiltà.   

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