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Stelle cadenti

Qualcosa si muove nel Movimento 5 Stelle. Nessuno può essere contento dopo gli esiti delle ultime votazioni. L’atteggiamento di Di Battista, che in questi giorni non ha risparmiato critiche al suo “socio” Di Maio, dimostra forse che l’unico ruolo in cui i 5 Stelle sono a proprio agio è l’opposizione. Nessuna vocazione al governo del Paese e forse nessuna – o poche – competenze reali.

 

Dopo un anno di Governo targato 5Stelle-Lega, Alessandro Di Battista rimprovera il suo Movimento e lo redarguisce con la stessa spocchia con la quale irrideva Berlusconi, Renzi, Monti, Salvini – salvo poi, con quest’ultimo, governarci insieme. Ah no, lui no. Non governa con nessuno. Il M5S si è alleato con la Lega, non certo lui, che parla da attivista del Movimento si, ma al di fuori del Palazzo. Si atteggia come l’unico leader dei 5 Stelle a poter ostentare ancora la verginità del potere politico. Lui non ha nessun ruolo di Governo, non è Presidente della Camera o di qualche Commissione parlamentare. Non è neppure deputato eletto. È fuori da tutto, in questa legislatura, meno che – a corrente alternata – dal Movimento.

Eppure, per governare occorre una maggioranza. E, salvo smentite straordinarie di elezioni uniche che verranno, sarà improbabile che i 5 Stelle possano raggiungere un risultato elettorale che consenta loro di governare da soli – con qualunque legge elettorale.

 

In fondo la situazione del Dibba nazionale è la più comoda: può criticare, consigliare, redarguire, disapprovare, biasimare tutti – compresi i suoi amici e compagni grillini – senza sporcarsi neppure un po' le dita, se non con un po' dell’inchiostro necessario per scrivere il suo ultimo libro. Perché, a parte la sua impegnativa attività di opinionista-senza-macchia, non scrive né propone leggi e non media al tavolo del Governo per trovare la quadra alle diverse idee che compongono le diverse anime del Parlamento – peraltro espressione rappresentativa delle diverse anime del Paese.

 

Il suo è il ruolo migliore. Va e viene quando vuole. Compare sulla scena durante la campagna elettorale. Poi, se il risultato è insoddisfacente, sparisce letteralmente di scena nella tornata elettorale successiva. Va all’estero per dedicarsi alla sua famiglia e ai suoi interessi – e questo è condivisibile e apprezzabile – salvo ricomparire per sindacare sull’operato dei suoi compagni di partito che, mentre lui cresceva la sua piccola e si godeva il sole del Guatemala, cercavano di arrivare al Governo con la formula più spendibile verso gli elettori: il contratto di governo. Ah, la democrazia!

 

Certo di errori gli eletti del Movimento in questi mesi ne hanno fatti non pochi. Quando si sta al Governo è più facile che le contraddizioni vengano fuori, rispetto a quando si fa opposizione. Le (in)competenze emergono eccome quando sei in prima linea e i colleghi di Di Battista – per sua stessa ammissione – non hanno ancora studiato abbastanza per essere pronti a gestire Ministeri e cariche di Governo.

 

Allora, qual è la soluzione? A sentire Di Battista, il suo atteggiamento e i suoi rimproveri, la vocazione sembra quella dell’eterna opposizione. Che poi, se ci pensiamo, è la posizione più confortevole. Nessuna vera responsabilità, nessuna ragione per sporcarsi veramente le mani e nessuna auto-critica necessaria per crescere nei consensi. Forse è questa la missione di Di Battista e forse è per questo che di volta in volta sparisce e ricompare a comando, per sondare la piazza dei simpatizzanti e per capire, dai sondaggi, se le dichiarazioni che sono più proprie dei grillini della prima ora – quelle di rimprovero, di accusa, di denuncia – funzionano di più di quelle di Governo, con buona pace del vecchio motto “uno vale uno” sostituito da più realistico e personalistico “io so io, e voi non siete un...”

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