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Un Governo, “basta che respiri”!

Sarà che ci meritiamo questo. Sarà che le persone valide e serie, quelle preparate e colte sono impegnate nel proprio lavoro di tutti i giorni, ma lasciare la politica ad una classe dirigente così mediocre è sicuramente responsabilità di tutti.

L’analisi della crisi di governo andata in scena ieri a Palazzo Madama è già stata commentata in tutte le salse da autorevoli cronisti e opinionisti. Eppure due righe vale la pena scriverle.

 

Anzitutto è surreale che ci si dica in faccia, davanti al Paese intero, tutto quello che si pensa l’uno dell’altro, dopo ben 14 mesi di convivenza governativa. Delle due l’una: o non ci si è accorti per 14 mesi con chi si aveva a che fare; o, peggio, se ne era consapevoli, ma si soprassedeva per garantirsi poltrone e stipendi.

E così, nel primo caso emerge una grave incapacità fattuale e inadeguatezza nel ricoprire incarichi istituzionali, che richiedono una certa scaltrezza e perspicacia; nel secondo, spicca la voglia di ricoprire incarichi governativi a qualunque costo, con compromessi al di là del tollerabile – con buona pace di tutti i proclami fatti in campagna elettorale che negavano qualunque alleanza o accordo con i “vecchi partiti”.

 

Eppure, volendo entrare nel merito del dibattito parlamentare, ieri è emersa una certa superiorità culturale e istituzionale del Premier dimissionario Giuseppe Conte. Sarà che, a differenza dei suoi due vicepremier, è l’unico laureato e con anni di professione legale alle spalle – ammesso che significhi qualcosa – e che è arrivato alla politica avendo già un lavoro, e non per trovarne uno. Di certo la sua sensibilità istituzionale, la sua sicurezza nell’assumersi la responsabilità di una crisi provocata da altri, ieri hanno visto crescere la fiducia nei suoi confronti di tanti italiani – peraltro, non per forza simpatizzanti del M5S – che ne hanno apprezzato schiettezza, risolutezza e cultura istituzionale.

 

Chiusa la parentesi Conte, si ritorna ai vecchi politicanti: nessun vero programma di governo, nessuna visione dell’Italia che deve essere e che dovrà diventare in un futuro non troppo lontano. Semplicemente qualche (buona?) idea buttata lì – e talvolta mal realizzata – per accaparrarsi i voti necessari per arrivare agli scranni del Parlamento, e incollarcisi saldamente, a qualunque costo, con qualunque accordo, con qualsiasi alleato – “basta che respiri” si diceva una volta agli amici sfigati che erano disposti ad andare anche con la meno attraente delle ragazze, pur di poter aver una pseudo-storia amorosa da raccontare!

 

Lo scenario che sembra prospettarsi, dopo la crisi consumata tra Lega e 5Stelle, sembra essere quello di un Governo-basta-che-respiri, basta che ci sia qualcuno disposto a votarlo, per poter permettere agli attuali Deputati e Senatori di poter mantenere il legittimo ruolo di rappresentanti del popolo, eletti poco più di un anno fa e già per la maggior parte screditati dai loro stessi elettori.

Votare ogni anno non è la soluzione. Chiedere le elezioni in base ai sondaggi o per interesse del proprio partito è naturale per un leader di uno schieramento, ma non dovrebbe più essere la priorità se si assume un incarico ministeriale importante. Fa perdere certezza ai cittadini, ai lavoratori, agli imprenditori.

Ma qualcosa si era incrinato nei rapporti tra le forze di Governo e, forse, proprio perché invece di governare con una visione comune, hanno provato a governare con un banalissimo contratto. Banalissimo, si. Perché al di là delle clausole che racchiude, un contratto non può contenere una visione, ma un mero interesse. Un contratto è rigido e freddo, invece una visione – e il programma che ne deriva – è ambiziosa e richiede sacrifici. Una classe politica adeguata, lungimirante e di alto livello porrebbe al primo posto la voglia di lasciare una traccia nella storia politica di una Nazione importante come quella italiana, di mettersi al timone del Paese e traghettarlo, specialmente nei momenti difficili, al riparo da crisi ed emergenze. E invece l’attuale classe dirigente preferisce prendere, spremere e sfruttare il proprio ruolo per il proprio tornaconto personale che, spesso, si traduce in un ostentato prestigio dell’incarico ricoperto che oggi – proprio per alcuni comportamenti di certi rappresentanti – rischia di diventare sempre meno prestigioso e più scadente, in linea con alcuni arrangiati dilettanti che lo interpretano. 

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