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Governo? Facciamo i conti

 

Concluse le elezioni per le presidenze di Camera e Senato, adesso occorre occuparsi della costituzione del nuovo esecutivo, che è cosa più delicata e richiede l’impegno dei partiti a realizzare un programma politico che sia di effettiva utilità agli italiani.

Gli scenari possibili rimangono tanti, in ragione delle diverse alleanze prospettate e dei veti incrociati che i vari leader degli schieramenti impongono.

Prima di fare i conti, facciamo una premessa: per la maggioranza alla Camera sono necessari 315 voti, per quella al Senato 158. L’attuale legge elettorale non ha previsto un premio di maggioranza e nessuno dei partiti ha ottenuto un numero di seggi tali da permettergli di governare senza alleanze.

 

Partendo dal dato numerico, Mattarella potrebbe valutare di dare mandato al leader che, a seguito del risultato elettorale, ha ricevuto più voti e, quindi, più seggi in Parlamento.

Secondo questa linea di pensiero, il primo incarico dovrebbe spettare a Matteo Salvini, che può contare su 267 deputati (124 Lega, 104 Forza Italia, 33 Fratelli d’Italia, 6 Noi con l’Italia) e 135 senatori (57 Lega, 57 Forza Italia, 17 Fratelli d’Italia, 4 Noi con l’Italia).

A questo punto, come leader del centro-destra, Salvini dovrebbe trovare 48 voti alla Camera e 23 al Senato. Come? O sperando in un appoggio del M5S – che, però, pur lasciando trapelare come possibile un’alleanza con la sola Lega, ha manifestato come improponibile un accordo con la coalizione dove è presente Berlusconi – o grazie a una componente di c.d. responsabili del Partito Democratico che, in netto contrasto con la linea di Renzi, potrebbero decidere di sostenere un esecutivo che abbia un programma condivisibile, su punti programmatici mirati e chiari.

 

Dall’altro lato, Luigi Di Maio ritiene che il risultato elettorale abbia incoronato il M5S quale primo partito e vero vincitore della tornata elettorale del 4 marzo e che, di conseguenza, spetti a lui l’incarico di formare un governo, forte dei 229 seggi alla Camera e 112 al Senato.

Dove trovare, però, i voti mancanti che sono, rispettivamente, 86 e 46?

Il M5S – arroccato sul suo “non essere né di destra, né di sinistra” – sta valutando due soluzioni. Da una parte, auspica un accordo con quella componente del Partito Democratico, contraria alla linea di Renzi, che potrebbe fornire i numeri mancanti, sperando di convincere tutti i compagni di partito, ad esclusione dei fedelissimi dell’ex segretario – il PD nel suo complesso ha, infatti, 108 deputati e 53 senatori.

Dall’altra parte, anche sulla base delle continue e nette prese di posizioni degli esponenti di maggioranza del PD, che ad oggi hanno sempre ribadito che staranno all’opposizione, potrebbe auspicare in un accordo con Salvini, al quale, però verrebbe richiesto di sacrificare l’alleanza con Berlusconi e, di conseguenza, di rinunciare al ruolo di leader del centro-destra, per diventare azionista di minoranza di un governo targano M5S-Lega.

 

Se tutti i leader resteranno fedeli a quanto dichiarato fino ad oggi, a quasi un mese dalle elezioni, sarà impossibile trovare un accordo per un governo.

La soluzione per superare lo stallo sembra essere quella di un passo indietro di ognuno degli esponenti di spicco dei partiti per poter promuovere un esecutivo basato più sui programmi che non sui singoli nomi. L’input potrebbe arrivare proprio dallo stesso Presidente della Repubblica che, indicando un governo che si accordi su punti salienti da realizzare per il bene del Paese, possa governare per approdare, in primis, ad una legge elettorale più adatta all’attuale società tripolare e, si spera, a degli interventi legislativi che possano farsi carico dei problemi del mondo del lavoro, della sicurezza e delle pensioni.

Solo in questo modo – e cioè se tutti cederanno qualcosa – nessuno risulterà sconfitto agli occhi degli elettori e potrà prendere parte ad un governo che dovrà dimostrare, al netto dei giochi di potere e accordi sullo scacchiere politico, di saper fornire al Paese le ricette di cui ha bisogno.   

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