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Elezioni, elezioni...

Ma davvero il voto in Emilia-Romagna determinerà le sorti del Governo? Siamo sicuri che un successo della Borgonzoni – o, meglio, di Salvini – è un voto politico e non regionale?

 

A sentire Salvini&co. il peccato originale del Governo – quello cioè di essersi formato senza passare dalle urne – sarà la causa del terremoto elettorale in Emilia-Romagna. E anche tra gli elettori del centro-destra l’idea è quella di votare alle regionali per “punire” il Governo Conte bis.

 

A ben vedere, però, anche il corpo elettorale del centro-sinistra sembra spinto più da un impulso politico nazionale, che non da un sentimento strettamente regionale. Per dirla diversamente, la gran parte degli elettori di Bonaccini appare mosso dalla voglia di esprimere un voto anti-Salvini, piuttosto che una conferma dell’operato del governatore uscente.

Corollario di ciò è il movimento delle Sardine, nato per contrastare “un certo modo di fare politica”, che però si traduce in un bersaglio ben preciso: Matteo Salvini.

 

E dunque? Che succederà il giorno dopo il voto? Se la Lega dovesse perdere le regionali, ma allo stesso tempo affermarsi con un risultato superiore al 28-30% in Emilia-Romagna, si potrebbe davvero parlare di sconfitta per Salvini e conseguente salvezza per il Governo giallo-rosso?

E se, invece, dovesse essere la candidata leghista Borgonzoni a diventare Presidente dell’Emilia-Romagna, davvero Giuseppe Conte dovrebbe rimettere il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica, come sostenuto dai leader del centro-destra?

Forse stiamo esaltando troppo questa tornata elettorale – stiamo diventando tutti un po’ Mentana...?

 

Una cosa è certa: ormai le elezioni, i risultati, i referendum vengono ingigantiti o sminuiti a seconda della convenienza del momento.

Penso sia il caso di lasciare le elezioni regionali al rango che meritano. Anche se, qualunque sarà il risultato, i partiti hanno il dovere di fare quello che non fanno da anni: una seria riflessione sull’esito del voto, sui loro elettori e, soprattutto, sui propri leader.

 

E chissà che magari, oltre che parlare di legge elettorale, sottosegretari e poltrone varie, non si torni a parlare di problemi del territorio e di soluzioni concrete per i cittadini.

 

In fondo, abbiamo tutto il diritto di pretendere una classe dirigente che, invece di propinarci proposte politiche tanto accattivanti, quanto effimere, possa darci una vision del Paese che permetta ai giovani di non emigrare, agli immigrati di integrarsi, agli anziani di godersi la pensione, agli imprenditori di essere parte di un grande piano industriale, ai disoccupati di tornare ad avere offerte di lavoro concrete e ai lavoratori di avere maggiori diritti – con un occhio, sia chiaro, ai diritti civili di tutte e tutti.

 

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