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Caro Paolo (Di Paolo), ti scrivo

Mi sono imbattuto per caso nel bel pezzo, su L’Espresso, di Paolo Di Paolo che – per inciso – ho “conosciuto” quasi dieci anni fa con il suo “Raccontami la notte in cui sono nato”.

Ho letto il suo intervento più volte e ho cercato di trovare l’essenza di quanto da lui affermato. Credo di esserci riuscito e credo – ma è solo la mia modesta opinione – di essere d’accordo solo in parte.

Giusto, anzitutto, cercare un dialogo. E giusto, per quanto possibile, convincere i governanti, o almeno provarci, che non sempre la folla che urla nelle piazze esprime idee giuste. Le masse spesso non sanno cosa vogliono e non sanno distinguere tra il bene e male (i paragoni biblici, in questo contesto, ci danno l’assunto per eccellenza).

 

Ritengo, ad ogni modo, che gli intellettuali di oggi non abbiano più lo smalto che avevano una volta. Molti di questi si sono “svenduti” a talk show di quart’ordine al solo scopo di fare audience – imbattendosi, talvolta non troppo involontariamente, in risse verbali che nulla hanno di intellettuale.

Altri preferiscono mostrarsi solo durante le presentazioni di libri e/o film, senza mai prendere una posizione, ma galleggiando tra una supercazzola e una banalità neutrale, evadendo le domande Politiche – quelle con la “P” maiuscola - rispondendo con frasi populiste, quando non demagogiche, al solo scopo di poter continuare a pubblicare o produrre, anche nel caso in cui gli equilibri di potere dovessero cambiare – chissà perché, mentre scrivo questo pezzo, penso a Benigni che si è schierato in maniera esplicita a favore di un Renzi bisognoso di consensi, al solo scopo di poterlo accompagnare negli USA in visita ufficiale ad un Obama con un piede già fuori dalla Casa Bianca. 

 

 

L’altro aspetto su cui l’articolo di Di Paolo mi ha fatto riflettere concerne il fatto che, dal mio punto di vista, molti intellettuali si chiamano fuori da esternazioni pubbliche perché ormai, a causa dei social network, tutti quanti si sentono intellettuali e (addirittura) in dovere di esprimere la propria opinione – anche se, il più delle volte, quanto da loro espresso non può essere neppure lontanamente assimilato al termine “opinione”.

Ecco dunque che i veri intellettuali preferiscono tacere per evitare che le loro riflessioni e idee, mischiate a quelle di legioni di imbecilli – per citare Eco – possano sminuire la portata e la sensatezza di quanto espresso.

 

Sull’invito a cena rivolto da Di Paolo ai vincitori di questa tornata elettorale, faccio solo presente che arriva tardi. Mentre gli intellettuali giocavano a interpretare fumosamente come va il mondo, a esporsi più che altro per promuovere i propri saggi e romanzi, la gente comune, i lavoratori e i disoccupati erano già a cena con i leader c.d. populisti. Questi ne hanno capito le esigenze, ne hanno interpretato i bisogni e si sono immedesimati nelle loro sofferenze ricavandone, in cambio, consenso elettorale e fiducia politica (con la “p” minuscola).

 

 

 

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