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Cosa rischia Di Maio

Il tema delle alleanze sta creando una situazione di apparente stallo. Il Movimento 5 Stelle, in questi giorni, si è posto obiettivi ambiziosi.

 

Anzitutto, forte di una vittoria elettorale che lo ha proclamato primo partito, chiede di governare. Il vero problema, per il capo politico Di Maio, è quello di dover trovare i numeri in Parlamento senza alleanze. Infatti, uno dei primi proclami dei 5 Stelle è sempre stato quello di correre da soli e di non volersi alleare con chi ha portato l’Italia ai drammatici livelli in cui si trova adesso.

Sulla base di queste idee, espresse da anni nelle gremitissime piazze di tutta la Penisola (isole comprese), il movimento ha guadagnato moltissimi consensi, arrivando a rappresentare un terzo degli elettori italiani. Un terzo, però, non è la maggioranza e in democrazia, per governare, occorre la maggioranza. Per averla è necessario allearsi; e il M5S non vuole fare alleanze. Dunque, Impasse.

 

La vera mossa che Di Maio sta cercando di porre in essere, peraltro l’unica che gli permetterebbe di non deludere i suoi elettori, è quella di trovare un’alleanza – che lui chiama “contratto”, per evitare che altri la chiamino inciucio – su punti chiari e precisi, che risolva i veri problemi che i cittadini devono affrontare ogni giorno.

Per fare tutto questo, cioè per realizzare la sua ricetta di buon governo, chiede i voti del Partito Democratico. Un partito di cui – s’è detto in altro articolo – non si capisce l’atteggiamento immobilista ma che, tuttavia, non avrebbe una buona ragione per sostenere un governo a guida Di Maio, i cui principali obiettivi sono tutti legati a “smontare” le politiche poste in essere in questi ultimi anni dai governi PD.

 

L’epilogo – dando per scontato che l’asse Salvini-Berlusconi-Meloni regga come unico blocco di centro-destra – per il M5S potrebbe essere di due tipi.

Nel primo caso, e cioè se Di Maio venisse appoggiato dall’intera compagine dei parlamentari PD, egli potrebbe salvare (e, perché no, far crescere) il Movimento, a condizione che realizzi quelle riforme che ha promesso in campagna elettorale (dal reddito di cittadinanza, alla abolizione dei vitalizi, all’aiuto alle piccole e medie imprese, ecc.). Questo schema, probabilmente, distruggerebbe totalmente il PD che verrebbe accusato di fare le riforme solo perché “costretto” dai 5 Stelle, fattivi e concreti al governo del Paese.

 

Nel secondo caso, qualora il M5S appoggiato dal PD, non riuscisse a realizzare le riforme prospettate, Di Maio potrebbe accusare gli alleati (o meglio l’altra parte del contratto) di non aver rispettato gli accordi e chiedere di tornare alle urne, sperando di annientare totalmente il Partito Democratico e fagocitare i suoi voti. In questo secondo scenario, si tornerebbe ad un’Italia bipolare dove, da un lato il M5S e dall’altro il centro-destra di Salvini, si contenderebbero la possibilità di poter governare il giorno dopo le elezioni, senza dover ricorre ad accordi, contratti o inciuci di qualunque genere. 

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